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Questa sezione è dedicata ad articoli su vari argomenti. Buona lettura!

Alessitimia
Un brindisi con Sigmund Freud
Disturbo Ossessivo Provocatorio
I dieci pregiudizi sullo psicologo
E' quasi Natale...

Alessitimia

E' un costrutto psicologico che descrive una condizione di ridotta consapevolezza emotiva che comporta l'incapacità di riconoscere, nonché di esprimere le emozioni.

"Date parole al dolore: il dolore che non parla bisbiglia al cuore sovraccarico e gli ordina di spezzarsi.”
Macbeth atto IV scena III, W .Shakespeare

Sono molto affezionata a questo pensiero che introduce uno dei temi che mi hanno sempre affascinato, la cosiddetta alessitimia, ovvero la mancanza di parole per esprimere emozioni (alexitimia dal greco a “mancanza”, lexis “parola” e thymos “emozione”).

Un concetto oggi più che mai attuale, poiché tutti noi siamo inseriti nell'immensità del mondo e nella complessità della vita, dove tutto diventa sempre più labile e le emozioni fanno fatica ad affiancarci e ove necessario a sostenerci. Tuttavia, è possibile uscire da questo stato di analfabetismo emotivo.

La figura dello psicologo in questo caso ha un ruolo determinante. Conoscitore della psiche umana, lo psicologo è in grado di ascoltare il paziente senza giudicarlo, limitandosi altresì a comprenderlo e aiutarlo perché dotato di una forte empatia.

Raccontarsi ad un “estraneo”, esprimere le proprie difficoltà e le proprie paure è molto difficile, ma provate a pensare a questo processo come la possibilità di affidarsi a qualcuno con cui creare un’alleanza che possa trasformare le preoccupazioni in coraggio, promuovendo il cambiamento.

Il cambiamento è rinascita e non deve farci paura. In questo la psicologia può aiutarci: dallo psicologo va chi vuole ritrovare l’equilibrio ed il benessere, dando, appunto, “parole al dolore”.

Parlare dei propri problemi significa curarsi e ascoltare con voce propria le più intime parti del nostro mondo interiore. E questo è il primo atto di consapevolezza e di amor proprio che ci rende unici.

Concludendo mi piace riportare le parole di Carl Gustav Jung: “Non c’è presa di coscienza senza sofferenza. In tutto il mondo la gente arriva ai limiti dell’assurdo per evitare di confrontarsi con la propria anima. Non si raggiunge l’illuminazione immaginando figure di luce, ma portando alla coscienza l’oscurità interiore. Chi guarda fuori sogna, chi guarda dentro si sveglia”.

Dott.ssa Dalila Califano.

Cin cin con S. Freud

Nel mese di Dicembre sono stata invitata dalla mia collega e amica Amalia Prunotto a partecipare all’evento “Di-vini Amori: un brindisi con Freud” ospitato dalla Cantina OINOE sulle colline di Traversetolo.

Ingresso Cantine OINOE

Il mio contributo è stato quello di invitare le persone che hanno partecipato all’evento a riflettere sulla connessione esistente tra la psicodinamica, la psicoanalisi ed il piacere che ognuno di noi può provare nel bere un bicchiere di vino.

Nasce spontaneo pensare alla celebre frase “dimmi cosa bevi e ti dirò chi sei”, nella quale per quanto possa farci sorridere, esiste un fondo di verità.

Infatti, se ogni vino ha un suo “carattere” chi lo beve ha una personalità che ne rispecchia le caratteristiche: è possibile abbinare ad un certo tipo di vino una determinata personalità.

Così, come gli amanti “dell’amarone” - un vino prodotto sulle colline intorno a Verona - sono generalmente introversi, curiosi e aperti alle novità, chi ama i vini frizzanti, come gli “spumanti”, ha una personalità estroversa, empatica e divertente.

Esiste, quindi, una connessione tra la nostra psiche e l’area del nostro inconscio legata al piacere o, come S. Freud ci ha insegnato a chiamarla, “ES – istinto o parte pulsionale”.

Sì, perché come comprovato da studi scientifici di carattere neurologico, le sostanze presenti in certi vini stimolano alcuni dei nostri recettori neuronali, provocando degli effetti sui nostri comportamenti; i vini rossi, ad esempio, portano ad una immediata introspezione e meditazione.

Ma come scegliamo i vini che berremo?

Uno dei fattori che inconsciamente ci porta a prediligere un vino, piuttosto che un altro, è l’estetica del suo imballo: siamo portati a scegliere un vino per la bellezza e/o la forma della sua bottiglia o della sua etichetta.

E’ ciò che in gergo tecnico viene chiamato marketing percettivo: solo guardando la bottiglia di vino adagiata su uno scaffale, la nostra mente crea delle aspettative, portandoci a credere che quel vino sarà più gustoso e saporito degli altri, tanto da indurci a comprarlo.

In psicologia questo effetto viene chiamato effetto alone: l’aspettativa che influenza la scelta.

Purtroppo, però, bere del vino può anche essere visto come una trasgressione, soprattutto tra gli adolescenti che spesso non sanno controllarsi.

E' allora importante mirare alla sensibilizzazione dei giovani su questo tema: bere del buon vino deve semplicemente rafforzare il nostro dialogo interno, portare ad una più profonda conoscenza di noi stessi allo scopo di avvicinarci agli altri e mostrarci così come siamo veramente.

Vi lascio con una frase di Charles Baudelaire che dice: “Il vino assomiglia all’uomo: non si saprà mai fino a qual punto lo si possa stimare o disprezzare, amare o odiare, né di quali azioni sublimi o di quali mostruosi misfatti sia capace. Chi beve solo acqua ha un segreto da nascondere”.

Dott.ssa Dalila Califano.

Fonte: "Gazzetta di Parma"

Disturbo Ossessivo Provocatorio

Oggi vi voglio parlare del Disturbo Oppositivo Provocatorio (DOP), una patologia neuropsichiatra dell’età evolutiva.

È inserita nella categoria dei Disturbi da Comportamento Dirompente e viene distinta dal Disturbo della Condotta (DC) e dal Disturbo d’Attenzione Iperattività (DDAI), per i quali bisogna eseguire una diagnosi differenziale.

I bambini che soffrono di tale disturbo cominciano a presentare dei sintomi prima dell’ingresso a scuola.

È bene specificare che questi bambini non hanno bisogno di essere curati, bensì ascoltati e compresi.

Il più delle volte ci sembrerà che vogliano allontanarci, in realtà hanno un forte senso di solitudine e paura dell’abbandono.

L’unico canale che conoscono per attirare l’attenzione e dirci “Guarda, sono qua, ascoltami”, sembra essere l’aggressività.

L’immagine che hanno di sé è molto svalutante, credono che gli altri non saranno mai loro amici e vivono una vita poco serena, isolandosi e andando incontro a livelli bassissimi di autostima e spesso anche a Disturbi dell’Umore.

È stato osservato che questa bassa autostima, nasce proprio nell’ambiente domestico.

I bambini con DOP hanno un rapporto con i loro parenti complesso e disfunzionale che porta ad una rottura familiare e ad un allontanamento sempre più grave e persistente: non è un caso che questi bambini vengano definiti dagli stessi genitori “aggressivi” e “ingestibili”.

Queste etichette li fanno solo auto convincere di servire a poco e di essere bravi in nulla, tanto da spingerli a mettere in atto comportamenti e atteggiamenti di ritiro sociale per la paura di essere insopportabili e un peso per tutti.

Cosa fare per cercare di aiutare i bambini con DOP? Quali strategie possono funzionare?

Non è semplice gestire i bambini con DOP, ma si possono sicuramente utilizzare alcune strategie da mettere in atto a casa e a scuola.

Al tipico atteggiamento di un bambino che ti butta dell’acqua addosso perché è contrario a qualcosa che tu gli hai appena detto di fare, io risponderei facendogli una coccola sulla testa, come azione contraria e incomprensibile per lui.

In questo modo gli sto comunicando “Guardami, non cado nelle tue provocazioni e anch’io sono capace di provocarti, ma senza ferirti”.

È difficile mettere in atto tutto ciò, ma credo valga la pena provarci perché, ricordate, sono bambini bisognosi solo di affetto e comprensione.

Non mi resta che augurarvi buon lavoro!

Dott.ssa Dalila Califano.

10 pregiudizi sullo psicologo

    In questo articolo vi parlerò di 10 pregiudizi che da sempre accompagnano la figura dello psicologo e proverò a spiegare perché possono essere considerati dei falsi miti.
  1. Lo psicologo è per i matti: il primo, il più diffuso ed anche il più banale.
    Chi cerca un aiuto nella figura di uno psicologo, non sempre è affetto da gravi disturbi psichici o mentali (in altre parole è un “matto” come viene tristemente definito da molta gente), ma molto spesso è semplicemente una persona profondamente riflessiva che desidera compiere un viaggio conoscitivo dentro di sé per raggiungere un maggior equilibrio psicologico.
    Difficoltà emotive, relazionali, momenti di crisi, eventi stressanti o problematiche familiari, non ci rendono “pazzi”, ma solo umani…
  2. Lo psicologo è solo per le persone deboli: figlio del primo, il secondo pregiudizio è tipico di persone che hanno paura a farsi aiutare, spesso perché si preoccupano del giudizio altrui.
    Riconoscere i propri disagi e i propri limiti personali, ammettere di aver bisogno di un aiuto concreto, è un atto di forza, non di debolezza.
    Grazie all’aiuto qualificato di uno psicologo che sa utilizzare tecniche e strategie motivazionali, è possibile promuovere il cambiamento ed il riconoscimento di se stessi, processi di partecipazione e attivazione che permettono di migliorarsi.
  3. Lo psicologo potrebbe manipolare la mia mente: lo psicologo è un professionista iscritto ad un Ordine specifico degli Psicologi che ascolta i suoi pazienti e si astiene dall’imporre valori e giudizi che siano influenzabili e non oggettivi.
    Come ci insegna Carl Rogers: “… lo scopo della consulenza psicologica è abilitare il cliente/paziente, a prendere una decisione riguardo a scelte di carattere personale e quindi scopo ultimo è aiutare la persona ad aiutarsi”.
  4. Io sono fatto così (cambiare è impossibile): a volte siamo convinti che un nostro determinato comportamento o atteggiamento non abbia alternative.
    Il cambiamento è possibile: siamo il risultato delle nostre azioni sulle quali abbiamo il potere decisionale.
  5. E' impossibile risolvere problemi concreti solo parlando: questa convinzione è già parte di un malessere.
    Lo psicologo dispone di numerosi strumenti che gli permettono di capire il dolore del paziente e di aiutare ad alleviarlo. Sto parlando dell’esperienza maturata nel tempo, la capacità empatica e la formazione continua.
  6. La psicoterapia dura troppo: uno specialista serio consiglia un percorso di psicoterapia specifico a ciascun paziente, consono ai suoi bisogni ed alle sue aspettative.
    Una consulenza psicologica può esaurirsi anche in poche sedute.
  7. Lo psicologo è troppo caro: in passato forse era così, ma fortunatamente oggi non più.
    Nel pubblico, ma anche negli studi privati, le tariffe per le sedute psicologiche sono meno costose e in molti casi convenzionate.
    Devi solo scegliere il professionista più adatto a te.
  8. Perché rivolgersi ad uno psicologo, quando posso parlare con un amico: la natura delle due relazioni, è totalmente diversa.
      Vediamo perché:
    • Lo psicologo non è coinvolto in dinamiche affettive con il paziente, un amico si.
    • Lo psicologo è concentrato sul paziente e il paziente è concentrato su di sé; un amico “non ascolta per professione” e spesso può pensare a se stesso, piuttosto che concentrarsi sul proprio interlocutore.
    • Lo psicologo possiede competenze e strumenti utili ad affrontare difficoltà strutturate, l’amico può dare solo consigli (spesso non oggettivi).
    • Lo psicologo crea uno spazio utile all’esplorazione e al cambiamento.
    • Lo psicologo è obiettivo, l’amico per definizione tende a non esserlo.
  9. Nessuno può capire il mio dolore: Marcel Proust diceva: “I viaggi che portano alle scoperte maggiori non sono quelli in cui si vedono nuovi mondi, ma quelli in cui rivediamo mondi conosciuti con occhi diversi”.
    Parlare ci aiuta a cambiare il modo in cui attribuiamo significato al mondo, ai nostri problemi, alle nostre difficoltà e alla nostra vita.
  10. Sei uno psicologo, quindi sei un mago: lo psicologo non è dotato di poteri paranormali!
    E’ un professionista che dedica la sua vita allo studio ed alla scienza e che mette a disposizione dei suoi pazienti le sue competenze e le sue abilità di professionista.

Dott.ssa Dalila Califano.

E' quasi Natale - Disordine Affettivo Stagionale

Dicembre: il mese del Natale, delle feste in famiglia, delle giocate a carte, dei regali...e del solstizio d’inverno..

Durante questo particolare evento astronomico, la Terra (che come ogni anno comincia a vedere il traguardo della sua “corsa annuale” intorno al sole...sto parlando del suo Moto di rivoluzione) viene colpita dai raggi solari con un’inclinazione tale da farci vivere la giornata “più corta” dell’anno, quella con meno ore di luce!

Avete mai pensato ai nostri antenati?

Vivevano questo giorno senza sapere cosa stesse accadendo intorno a loro e chissà che emozioni provavano..Stupore, incertezza, ma anche paura e ansia magari!

Al giorno d’oggi non ci facciamo più caso, ma capita a molti di noi, durante le festività natalizie, di sentirsi spossati, svogliati, stanchi, nervosi..insomma con un umore che non definiremmo proprio in tema con l’atmosfera di felicità e pace che dovrebbe contraddistinguere questo periodo!

Quanti post si trovano sui social: “Svegliatemi il 7 gennaio”, “Odio il Natale”, “In casa mia non si fa né l’albero, né il presepe”, “Ci risiamo..sta per incominciare il periodo più brutto dell’anno!”.

Vi sentite anche voi così?

Il nostro umore è condizionato dalla trasmissione transgenerazionale di valori, credenze e abitudini familiari che possono anche farci assumere un atteggiamento d’indifferenza verso il Natale.

Potreste addirittura sperimentare una sintomatologia depressiva molto particolare, definita ”Disordine Affettivo Stagionale” - SAD che potrebbe portarvi addirittura ad odiarlo!

Niente paura, è un disturbo piuttosto comune e sempre più diffuso, soprattutto fra i giovani.

Se siete stanchi di odiare le feste, parlatene con un professionista che vi aiuterà a capire il perché delle vostre emozioni e a superare questo “malessere natalizio”!

Buone feste!

Dott.ssa Dalila Califano.

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